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La gestione del colore

FotoIt - Maggio 2018

Massimo Pinciroli by Massimo Pinciroli
1 Maggio 2018
Home Gestione Colore
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La gestione del colore è la tecnica che può garantire fedeltà e corenza cromatica lungo tutto il flusso di lavoro delle nostre immagini digitali.


Negli articoli precedenti ho citato, a più riprese, termini come “spazio colore”, “profilo colore”, “profilazione” senza troppo dilungarmi in spiegazioni. Ecco giunto il momento di porre rimedio a questa mancanza, provando a contestualizzarli nel più ampio panorama della gestione del colore. 

Il problema alla base della gestione del colore

In un mondo ideale scanner e fotocamere sarebbero in grado di catturare qualsiasi colore, così come monitor e stampanti sarebbero in grado di visualizzarlo e riprodurlo.

Purtroppo nella realtà ciò non accade, perché ogni periferica ha caratteristiche diverse ed “interpreta” il colore in un modo personale.

Se i problemi di coerenza cromatica esistevano in realtà già ai tempi della pellicola, è il digitale che ha permesso la messa a punto di tecniche volte a minimizzare le differenze cromatiche nei vari passaggi del flusso di lavoro, facendo sì che il colore sia prevedibile.

Si tratta, appunto, della gestione del colore.  

Flusso di lavoro non calibrato senza gestione del colore
Un flusso di lavoro senza gestione del colore
Flusso di lavoro con periferiche calibrate e gestione del colore.
Un flusso di lavoro con gestione del colore e periferiche calibrate

Il colore per le periferiche

Qualsiasi dispositivo atto a generare o catturare una immagine deve poterne rappresentare le tinte attraverso un modello colorimetrico fondato su colori primari. Nel caso delle immagini digitali si utilizza la sintesi additiva, basata su una terna di valori relativi al rosso, al verde ed al blu (RGB) miscelando i quali è possibile teoricamente ottenere qualsiasi colore.

Nella rappresentazione a 8 bit, il range di questi valori spazia da 0 a 255: quando questi valori sono nulli otterremo il nero, quando sono al massimo otterremo il bianco.

Ogni periferica, però, fa riferimento a primari diversi, motivo per cui  la stessa terna numerica di valori RGB inviata alla periferica “A” od alla periferica “B” porta alla rappresentazione di colori diversi, a causa delle caratteristiche proprie della periferica.

Se è certo che la terna di valori RGB 0, 255, 0 indichi il verde puro, per la precisione il verde-più-verde che una periferica sia in grado di riprodurre, è altrettanto certo che inviando la medesima “ricetta” a svariate periferiche, otterremo un verde diverso per ciascuna di esse.

Affinché i valori RGB possano acquisire un significato univoco, è fondamentale che il comportamento cromatico delle periferiche venga misurato, descritto e reso confrontabile su una scala di riferimento, indipendente dalla periferica. Ma quale sarà questa scala di riferimento?

I modelli colorimetrici

Sin dai primi decenni del secolo scorso gli studiosi hanno cercato di schematizzare il “mondo dei colori” e le capacità cromatiche dell’occhio umano. Tra i vari modelli messi a punto dalla CIE (Commissione internazionale per l’illuminazione o Commission Internationale de l’Éclairage) due sono ancor oggi fondamentali e di uso comune, a distanza di quasi un secolo: il diagramma di cromaticità che raffigura lo spazio CIE XYZ e lo spazio colore Lab.  

A sinistra il diagramma di cromaticità CIExy1931 a destra il modello Lab

Focalizziamoci per il momento sul diagramma di cromaticità. Esso deriva da una serie di esperimenti volti a definire le tinte visibili dall’occhio umano per mezzo di un modello matematico. 

Il modello CIE 1931 è basato su tre colori primari che, opportunamente miscelati tra loro, permettono di ottenere tutti i colori che l’occhio umano può percepire.

Si rifà, seppur con approssimazione, al comportamento della retina dove sono presenti tre tipi di fotorecettori: i coni, ciascuno dei quali sensibile ad un particolare colore. 

Importante notare l’allungamento del diagramma nella zona del verde.

Esso si rende necessario per rappresentare graficamente il maggior numero di sfumature di questa tinta che l’occhio umano è in grado di riconoscere rispetto a quelle del rosso e del blu.

Se il diagramma di cromaticità CIE 1931 è la rappresentazione assoluta delle capacità cromatiche dell’occhio umano, definito come “osservatore standard”, lo spazio Lab può invece essere inteso come la rappresentazione assoluta dei colori utilizzabili dai programmi di fotoritocco.

Non a caso è proprio il modello di colore utilizzato all’interno di applicativi quali Photoshop e Lightroom per i loro calcoli.

Gli spazi XYZ e Lab sono indipendenti dalle periferiche e costituiscono dei riferimenti assoluti rispetto ai quali vengono definiti tutti gli altri spazi e profili di colore.

Vediamo ora come l’aver definito un riferimento ci permetta di dare un senso ai numeri delle singole periferiche.

Il profilo colore

Come ho già scritto, condizione fondamentale per poter implementare un controllo del colore lungo il nostro flusso di lavoro è la conoscenza, e quindi la misurazione e descrizione, del comportamento cromatico delle periferiche.

Come abbiamo visto negli articoli relativi al monitor, tale risultato viene conseguito con le fasi di calibrazione+profilazione che culminano nella realizzazione del profilo colore ICC.

Tale file, che prende il nome dall’International Color Consortium che ne ha definito gli standard, contiene, tra le altre cose, la descrizione dei colori che la periferica è (o non è in grado di riprodurre) ed il loro collocamento nello spazio CIE 1931, che funge da piano di riferimento.

Ed è proprio grazie alla relazione con questo spazio di riferimento che potremo effettuare dei confronti per capire se un colore possa essere riprodotto, o meno, da tutte le periferiche del nostro flusso di lavoro.

Coniugando la terna di valori RGB di una tinta con il profilo colore dei device, inoltre, potremo capire il diverso significato che gli stessi numeri assumeranno a seconda delle caratteristiche delle periferiche coinvolte. 

Nel confronto tra due monitor rappresentato nell’immagine di esempio salta subito all’occhio che, inviando il valore Rosso 255, i due monitor visualizzeranno lo stesso colore. Inviando il valore Blu 255 visualizzeranno “quasi” lo stesso colore mentre inviando il valore Verde 255 il risultato sarà decisamente differente. In questa area dello spettro i due display hanno infatti un comportamento molto diverso. 

Capito come e perchè, a parità di numeri, possano corrispondere colori diversi, non resta che capire come i numeri debbano invece cambiare per mantenere colori costanti… ma ve ne parlo nel prossimo articolo.

Massimo Pinciroli

Massimo Pinciroli

Cresciuto a pane, salame e fotografia, approdo giovanissimo al settore fotografico iniziando a lavorare per un'importante multinazionale di analogica memoria e dando così il via a quell’indissolubile connubio fra passione e professione che da sempre mi accompagna. Quando non sono impegnato a dare supporto ai clienti, a tenere corsi o creare contenuti per riviste o per il web, inganno il tempo realizzando stampe fine art per me o per gli amici.

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